“Che (eco-)ansia! – Quando il cambiamento climatico diventa un problema di salute mentale”.
È online la nuova scheda formativa sul tema dell’eco-ansia, dal titolo “Che (eco-)ansia! – Quando il cambiamento climatico diventa un problema di salute mentale”.
Ringraziamo del contributo la Segretaria Diocesana Elisa Novello, il già Segretario Diocesano Samuele Rogo, Chiara Tramontin e Caterina Magnolo.
Nella scheda proviamo a chiarire il significato del termine eco-ansia, che oggi sentiamo o leggiamo sempre più frequentemente, per poi provare ad analizzarne le cause che hanno portato alla nascita di questo sentimento.
Infine ci poniamo una domanda: ma in tutto questo qual è il nostro ruolo? Cosa possiamo fare nel nostro piccolo per noi stessi e per gli altri in modo da affievolire quest’ansia? A questo scopo vedremo quanto è importante condividere un senso di comunità e pensare a delle soluzioni collettive.
Senso di comunità che si può estendere anche alle nostre scuole e che diventa ancora più rilevante quest’anno in vista dei percorsi congressuali che tutti stiamo vivendo nelle nostre diocesi: perché non riservare uno spazio nei nostri documenti congressuali prendendoci un impegno sul tema? Vedremo infatti nella scheda anche quanto questo sentimento sia strettamente legato al benessere psicologico tanto caro a noi msacchini.
Buona lettura!
Stressati, depressi e in ansia, ma con il desiderio di una scuola più sana
Confusi. In sintesi: fragili. I giornali e le ricerche non fanno che titolare che i ragazzi di oggi stanno male.”
COSTRUIAMO TUTTO – L’alternativa culturale parte dalla scuola
In questi giorni abbiamo assistito a un altro episodio di femminicidio e con Giulia Cecchettin arriviamo a oltre cento vittime dall’inizio dell’anno. È un numero tragico che testimonia un’emorragia inarrestabile. Oggi, 25 novembre, siamo ancora una volta tutte e tutti sgomenti di fronte alla tragica abitudine che stiamo sviluppando rispetto a questi fatti di cronaca. Siamo stufe e arrabbiate per l’immobilismo della società nei confronti della violenza, ci sentiamo impotenti di fronte alla consapevolezza di non poter essere sempre noi padrone del nostro destino, come è successo a Giulia. Siamo attoniti e ci sentiamo corresponsabili perché condividiamo il seme di una cultura che vorremmo non ci appartenesse ma che senza rendercene conto risiede in noi e ci influenza quotidianamente. L’uccisione di Giulia ci conferma l’immagine di un mondo ancora troppo violento, in continuo conflitto. Se pensiamo di non aver mai assistito a scene di violenza, si tratta certamente di una condizione di privilegio che ci rende ciechi alla questione e non ci permette nemmeno di vedere il problema. Se ci costruiamo alibi del tipo:”Non posso fare molto se non rispettare il mio prossimo”, siamo essenzialmente complici di questa banalità del male. Ognuno di noi contribuisce attivamente alla violenza o alla non-violenza della società con i propri gesti e le proprie parole. Sentiamoci parte del problema quando non siamo in grado di fermare la violenza e sentiamoci soprattutto parte della soluzione, primi attori del cambiamento. Poniamoci le domande giuste. Non serve chiedersi “IO cosa ci posso fare”, chiediamoci piuttosto “NOI cosa possiamo fare”. Il bene comune si realizza nel momento in cui la collettività trova una strada comune, una prospettiva condivisa. Pertanto, se desideriamo fermare la violenza, dobbiamo prima unirci in un NOI, un NOI più grande di quello che possiamo immaginare. Più volte in questi giorni siamo stati chiamati a distruggere tutto. Siamo certamente d’accordo che vadano abbattuti i tabù, le disuguaglianze, i pregiudizi e ogni genere di sopruso; tuttavia, preferiamo COSTRUIRE TUTTO, ma soprattutto COSTRUIRE TUTTE E TUTTI INSIEME. Costruiamo una cultura rinnovata di cura e di attenzione, costruiamo una cultura che non permetta le violenze, costruiamo, insieme, un’alternativa credibile. Agiamo come studentesse e studenti, come donne e uomini, come adulti e giovani, come oppressi e privilegiati, insieme contro violenza. Tutta la società dev’essere coinvolta in una rivoluzione culturale profonda. La Scuola ha il ruolo da capofila, anche in merito alla violenza di genere. Come già citato nella scheda formativa sulla parità di genere, la legge 128 del 2013 ribadisce la “necessità per le scuole di favorire l’aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere”. In questo contesto, a scanso di equivoci, va chiarito che l’educazione all’affettività non è l’educazione sessuale. Come Movimento riteniamo indispensabile una educazione sessuale che ci permetta di entrare in rapporto con i cambiamenti fisiologici che un adolescente vive durante la pubertà, di conoscere il nostroo corpo, di sfatare i tabù legati al tema e di apprendere alcune essenziali pratiche di prevenzione. Nello stesso tempo, invece, educare all’affettività è indispensabile perché significa contribuire allo sviluppo di pratiche di rispetto dell’altro, delle emozioni, di gestione dei conflitti e di tutta la sfera comportamentale che entra in gioco nel rapporto con altre persone. In più, l’educazione all’affettività non va vista solo nell’ottica della parità di genere o nella prevenzione alla violenza, ma ha un riscontro più ampio nella vita familiare, nei rapporti di amicizia, nelle dinamiche sociali e politiche, nonché nel riconoscimento della propria identità affettiva. L’educazione affettiva deve permetterci di imparare a conoscerci per conoscere l’altro, imparare a riconoscerci per rispettare e accogliere l’altro. Allora, ancora una volta, gridiamo a gran voce e chiediamo che percorsi di educazione all’affettività vengano attivati in maniera credibile nelle Scuole. Abbiamo bisogno di un’educazione affettiva che ci formi in maniera completa come individui capaci di stare nella società e di costruire relazioni sane e durature basate sul rispetto. Desideriamo una Scuola che ci dia gli strumenti per imparare ad accettare le decisioni e gli stili di vita degli altri, anche se non sono perfettamente in linea con i nostri, per saper gestire le nostre emozioni nei rapporti con l’altro. Bisogna iniziare fin dalla scuola dell’infanzia, al fine di intraprendere un percorso graduale, che affronti ogni tappa del difficile percorso che è lo sviluppo. Serve personale adeguatamente formato e non basta delegare a un professore questo compito. Vanno incoraggiati investimenti a favore di figure come gli psicologi, dotati delle competenze adeguate per accompagnare ragazze e ragazzi nell’affrontare delle dinamiche così apparentemente semplici, eppure così decisive per la costruzione di una società equa e giusta. La formazione in ambito affettivo non può essere rimessa alla spontanea iniziativa delle famiglie o dei singoli. Non è detto infatti che il contesto relazionale al di fuori della scuola aiuti le studentesse e gli studenti a migliorare la propria attitudine relazionale: non dobbiamo dimenticare che una gran parte delle violenze di genere si consuma in ambito domestico e che più in generale non è scontato che ogni contesto familiare possa costituire un esempio in quest’ambito. Infatti, proprio per queste situazioni di fragilità, la scuola è chiamata a curare la formazione di noi studenti e studentesse anche sotto il profilo affettivo. Vorremmo che da questi pensieri, scritti condividendo sensazioni di tante e tanti di noi, nascessero discussioni di gruppo o sincere riflessioni informali, che vadano oltre la retorica del commento al fatto di cronaca, ma che siano occasioni per confrontarsi più intimamente le une con gli altri e iniziare insieme una rivoluzione gentile della nostra cultura. Infine permetteteci un pensiero per Giulia e la sua famiglia, a cui esprimiamo il nostro cordoglio e che accompagniamo con una preghiera rumorosa.
I ragazzi e le ragazze dell’equipe nazionale
Educazione alle Relazioni – Il nostro parere
Gentilissimo Ministro,
siamo onorati di poter contribuire, attraverso questa lettera, al progetto di “Educazione alle relazioni”, con il quale il Ministero dell’Istruzione e del Merito intende proporre una risposta ai crescenti fenomeni di violenza che si possono segnalare in tutto il Paese. Abbiamo apprezzato la tempestività nella risposta sul tema delle violenze sessuali, ancor più necessaria dopo i ben noti fatti di Caivano. La “scuola costituzionale”, infatti, ha il dovere di educare persone e cittadini che sappiano relazionarsi con gli altri e favorire una crescita nell’inclusione, nella tolleranza e nella fraternità.
Entrando nel merito del progetto, riteniamo che siano numerosi i punti condivisibili sia nel metodo, sia nei contenuti. Nello specico, apprezziamo la scelta metodologica del T-group come approccio al confronto, in cui ogni persona non è appiattita nel ruolo esclusivo di studente, ma è vista nella tridimensionalità del proprio vissuto. Condividiamo anche il coinvolgimento dell’Ordine Nazionale degli Psicologi; infatti, riteniamo che determinati interventi siano ecaci solo se sostenuti da fondamenti professionali e scientici. Il benessere psicologico, così come il contrasto ai fenomeni di violenza, parte dalla comprensione “scientica” dei bisogni di ciascuno. In ultimo, ammiriamo che il progetto, evidentemente delocalizzato nelle singole scuole, preveda dei momenti “nazionali” di start e di verica, che permettano a tutte e tutti di sentirsi inquadrati in una dimensione più grande di attenzione verso il problema, spesso delegata a presidi o insegnanti virtuosi.
Pur condividendo le nalità e gli obiettivi di tale progetto, siamo dell’idea che alcuni aspetti possano essere migliorati, al ne di garantirne una migliore riuscita.
In particolare, riteniamo fondamentale prevedere delle modalità per cui la scelta di aderire al progetto vada oltre la sola volontà delle singole istituzioni scolastiche. Ci pare infatti che, qualora questa volontà non sorga, non siano previste delle alternative per sensibilizzare gli studenti e le studentesse su temi indubbiamente rilevanti. Poiché molteplici ragioni potrebbero indurre una scuola a non partecipare, crediamo che le condizioni ideali per rendere questo progetto realmente eciente siano due. In primis, si potrebbero inserire tali spazi di educazione alle relazioni in orario curriculare, così da non penalizzare coloro che incontrano dicoltà nel restare a scuola oltre l’orario delle lezioni. In secundis, ma non per importanza, questo tipo di formazione potrebbe essere realmente incluso nella didattica, ad esempio all’interno di alcune ore di educazione civica, dal momento che la corretta formazione di una coscienza civica non può prescindere da una sana educazione alle relazioni. Garantire che queste ore siano oerte seguendo questo schema costituisce per noi il mezzo più utile per rendere capillare la diusione di questo progetto e per concedere il giusto spazio a temi così importanti.
Inoltre, riteniamo che tali questioni possano prendere posto all’interno dell’insegnamento dell’educazione civica, come già si è fatto per questioni trasversali come l’educazione nanziaria e lo sviluppo sostenibile. In questo senso, crediamo fermamente che per essere buoni cittadini e buone cittadine sia necessario sviluppare un’educazione aettiva integrale. Stare bene nella società ci chiede di partire dalle relazioni più strette, di coltivare amicizie signicative e di sviluppare una sincera condanna di ogni violenza (di genere, razziale, politica, etc.).
Ancora, consideriamo necessaria, a partire dai documenti ministeriali, l’adozione di un linguaggio che valorizzi i punti di vista maschile e femminile. Crediamo che, superando gli scogli linguistici, si possa fare tanto dal punto di vista della parità. Come segnalato nel vostro progetto, le dierenze costituiscono un valore; pertanto, crediamo che assumerle come ricchezza, e non come spazi da difendere, sia il primo passo verso una parità sostanziale che non si chiude alle diversità.
Per concludere, ribadiamo la nostra positività nei confronti di questa azione educativa messa in atto dal Ministero. Tuttavia, anche in vista di un’implementazione del programma e di una sua conversione legislativa nei prossimi anni scolastici, ci mettiamo a disposizione come Movimento Studenti di Azione Cattolica, all’interno del lavoro del FAST, per contribuire. Soprattutto in questo tema, la voce degli studenti e delle studentesse del nostro Paese è preziosa e non può restare su questi fogli. Desideriamo lavorare insieme per una scuola più inclusiva, più accogliente e certamente meno violenta e insicura.
Cogliamo l’occasione per porgere cordiali saluti e per augurarLe un buon lavoro.
Lorenzo Pellegrino e Ludovica Mangiapanelli
Segretario e Vicesegretaria nazionale del Movimento Studenti di Azione Cattolica
Rappresentanti del cambiamento
È online la scheda “Rappresentanti del cambiamento – studenti impegnati nella rappresentanza”, che accompagna la campagna di rappresentanza per l’anno 2023/24! Questo materiale è stato realizzato in collaborazione tra l’area scuola e l’area formazione del MSAC.
LA SCUOLA CHE EDUCA AL RISPETTO
Il 28 agosto scorso il Ministro Valditara ha annunciato sui canali social l’introduzione nelle scuole di un percorso di educazione alla sessualità per “affermare la cultura del rispetto” e “sradicare i residui della cultura maschilista e machista”. Questa misura arriva alla fine di un’estate in cui siamo stati spettatori di brutali episodi di violenza, specialmente ad opera di gruppi di giovani e adolescenti. In particolare vogliamo ricordare i fatti di Palermo, dove 7 ragazzi hanno messo in atto uno “stupro di massa” – come uno di loro l’ha definito – ai danni di una giovane 19enne, ma anche gli episodi avvenuti a Caivano, per i quali sono indagati diversi minorenni apparentemente coinvolti nello stupro di due ragazzine di 10 e 12 anni.
QUESTA SCUOLA È PIACEVOLE?
Non risulta difficile risalire all’etimologia di scuola: dal greco scholé, indica il tempo libero, il piacevole uso delle proprie disposizioni intellettuali e, recentemente, anche il luogo fisico in cui si studia.






